Pineda



C’era grande attesa per l’uscita di questo primo lavoro, targato Pineda, attesa mista a curiosità, inutile negarlo, principalmente per “il batterista”... Moltheni che ritorna a battere sulle pelli (Nel 1986 infatti, assieme all'amico Andrea Medori aveva fondato appunto in veste di batterista gli "Hamilton", che poi diverranno "Hameldome", gruppo rock con venature punk con repertorio in lingua inglese)... e le dichiarazioni da lui rilasciate, relative alla scena indie italiana, che avevano fatto molto discutere.
Senza ricamarci troppo su, parliamo di questo album, perchè in primis è un ottimo album, rigorosamente di soli suoni, in cui i nostri aggiornano per così dire, un sound tipicamente anni 70, in piena era progressive quindi, Emerson, Lake e Palmer, i Soft Machine, tanto per fare qualche nome, colorando il tutto con trame psichedeliche mai invasive, senza tralasciare ovviamente le sonorità attuali, con i primi Tortoise come gruppo di riferimento... ma sono molteplici i riferimenti e i numi tutelari della band, che vede Marco Marzo Maracas,  Floriano Bocchino e appunto Umberto Giardini (Moltheni), dare alle stampe per DeAmbula Records, questo promettente esordio, ricco di suggestioni, di immagini gioco forza e soprattutto di ricerca... che sia interiore, spirituale o semplicemente musicale, poco importa... in quanto il viaggio dei Pineda inizia sotto i migliori auspici e noi ci auguriamo per il futuro che si parli di più dei Pineda in quanto tali e non della band dove il batterista è Moltheni.
Speriamo casomai che il grande Umberto Giardini, torni a regalarci il suo talento, anche sotto forma di Moltheni.

“Give Me Some Well-Dressed Reason”: apertura alla Doors di Riders on the storm, senza la pioggia in sottofondo, con un riff di chitarra ipnotico, una sezione ritmica vagamente jazzata, impreziosita da contrappunti del rhodes... con la chitarra elettrica che prende il sopravvento a tratti, senza mai esplodere del tutto, quasi addentrandosi, per accrescere il pathos e l’urgenza. 

 “Domino”: inizialmente quasi il continuo della traccia precedente, le atmosfere infatti sono pressocchè identiche, così come i contrappunti di piano alle chitarre dominanti... fino alla loro vera esplosione stavolta, il ritmo diventa così più sostenuto e i riffs più ficcanti e incisivi.

“Human Behaviour”: decisa virata verso sonorità più care ai primi anni ‘80, con una malinconia, tristezza mal celata che cerca solo di venire fuori nelle melodiche fughe in minore delle chitarre elettriche.

 “Touch Me”: le sonorità della traccia precedenti qui vengono in un certo qual modo appesantite, indurite, rese cupe, quasi oscure... l’atmosfera che regna è lancinante come il suono delle chitarre elettriche.

“If God Exist, He's in the Deep (part one) Lost in Your Arms While Outside in all the World, it's Raining (part two)”: psichedelica allo stato puro, nella prima parte, un vero e proprio viaggio a tinte fosche... per giungere alla melodia decadente della seconda parte, con le chitarre come sempre in primo piano a punteggiare l’atmosfera a tratti spettrale... una perfetta colonna sonora di un film immaginifico alla ricerca del perchè dell’esistenza.

“Twelve universes”: un continuo crescendo a tratti funky, diviso in due parti ben distinte, dove i nostri danno il meglio di se, privi dei vincoli strutturali che in un certo senso, si erano forse imposti nelle tracce precedenti, senza ancora una volta perdere di mira il nocciolo della questione, infatti dosano tutti gli ingredienti con parsimonia, non eccedendo, con un senso della misura che è classe cristallina.

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